Partito di Alternativa Comunista

Coscienza spontanea e coscienza socialista

Coscienza spontanea e coscienza socialista

Alcuni spunti dal Che fare?

 

di Alberto Cacciatore

 

Lenin a conclusione dell’opuscolo Che fare? del 1902, dopo aver delineato un rapido bilancio storico della socialdemocrazia russa scrive: “Quando il terzo periodo sarà sostituito dal quarto (già annunciato da numerosi indizi)? Non sappiamo. Ma crediamo fermamente che il quarto periodo ci porterà al consolidamento del marxismo militante, che la socialdemocrazia russa uscirà dalla crisi rafforzata e virilizzata, che la retroguardia degli opportunisti avrà il cambio da una vera avanguardia della classe più rivoluzionaria. Auspicando tale cambio e riassumendo in una parola quanto abbiamo scritto, alla domanda: che fare? possiamo rispondere brevemente: liquidare il terzo periodo!”

Nel terzo periodo, che è ai suoi albori nel 1897 e sostituisce definitivamente il precedente nel 1898, “la lotta proletaria abbraccia nuovi strati di operai, si estende a tutta la Russia e contribuisce così direttamente a rafforzare le tendenze democratiche fra gli studenti e altri ceti della popolazione. Ma la coscienza dei dirigenti non è all’altezza della spinta spontanea, vasta e potente; fra i socialdemocratici l’elemento predominante è ormai costituito da militanti di un altro tipo che si sono formati quasi elusivamente sulla letteratura marxista ‘legale’, tanto più insufficiente quanto più alta è la coscienza richiesta dalla spontaneità della massa. Non solo i dirigenti sono in ritardo teoricamente (libertà di critica) e praticamente (primitivismo), ma si sforzano di giustificare il proprio ritardo con mille e un argomento altisonante. Il movimento socialdemocratico è abbassato al livello del tredunionismo (…). Questo periodo è caratterizzato (…) dall’unione di un praticismo meschino con una noncuranza totale per la teoria. Il socialismo scientifico cessa di essere una teoria rivoluzionaria organica per trasformarsi in un beveraggio ‘liberamente’ diluito con l’acqua di un qualunque nuovo manuale tedesco: la parola d’ordine della ‘lotta di classe’ non incita più a un’azione sempre più ampia ed energica, ma serve di emolliente, perché - si dice - ‘la lotta economica è indissolubilmente legata alla lotta politica’; l’idea del partito non incita a creare un’organizzazione rivoluzionaria di lotta, ma giustifica una specie di ‘burocraticismo rivoluzionario’ e i fanciulleschi passatempi con le forze democratiche”.

 

“Marxismo legale” ed “economicismo”

 

Alla fine del 19° secolo Lenin dovette sostenere, prima in Russia e poi all’estero, una dura lotta contro i “marxisti legali” e gli “economicisti” che nella socialdemocrazia russa avevano sostenuto la parola d’ordine della “libertà di critica”, diffusa da Berneisten nella socialdemocrazia internazionale. Questa nuova tendenza che “critica” il marxismo “vecchio” e “dogmatico”, pervertiva la coscienza socialista, svilendo il marxismo, predicando la teoria dell'attenuazione degli antagonismi sociali, dichiarando insensata l’idea della rivoluzione sociale e della dittatura del proletariato, riducendo il movimento operaio e la lotta di classe a un gretto tradunionismo e alla lotta “realista” per piccole riforme graduali, trasformando il movimento operaio, ai suoi albori, in un’appendice del movimento liberale.

L’adesione alla “critica” coincideva con la propensione dei militanti socialdemocratici per l’“economicismo”: gli operai debbono condurre una lotta economica, gli intellettuali marxisti debbono fondersi coi liberali per la lotta politica. Veniva stabilito un rapporto meccanico tra lotta economica e lotta politica: è lo sviluppo della lotta economica che favorisce il processo spontaneo del formarsi di una coscienza politica della classe operaia.

Alla sottomissione del movimento operaio alla spontaneità Lenin risponde citando le parole di Kautsky: “Socialismo e lotta di classe nascono uno accanto all'altra e non uno dall’altra; essi sorgono da premesse diverse. La coscienza socialista contemporanea non può sorgere che sulla base di profonde cognizioni scientifiche. Infatti, la scienza economica contemporanea è, al pari della tecnica moderna, una condizione della produzione socialista, il proletariato, per quanto lo desideri, non può creare né l’una né l’altra; la scienza e la tecnica sorgono entrambe dal processo sociale contemporaneo. Il detentore della scienza non è il proletariato, ma sono gli intellettuali borghesi; anche il socialismo contemporaneo è nato nel cervello di alcuni membri di questo ceto, ed è stato da essi comunicato ai proletari più elevati per il loro sviluppo intellettuale, i quali in seguito lo introducono nella lotta di classe del proletariato, dove le condizioni lo permettono. La coscienza socialista è quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall'esterno, e non qualche cosa che ne sorge spontaneamente. (…) Il compito della socialdemocrazia è di introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione e della sua missione. Non occorrerebbe far questo se la coscienza emanasse da sé dalla lotta di classe”.

Lasciata a se stessa, prosegue Lenin, “la classe operaia con le sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradeunionista”. Pur negando l’idea che “il movimento puramente operaio sia di per sé in grado di elaborare una ideologia indipendente”, non ne consegue “che gli operai non partecipino a questa elaborazione; ma non vi partecipano come operai, bensì come teorici del socialismo (…) nella misura in cui giungono ad acquisire più o meno completamente cognizioni della loro epoca e a farle progredire.” Perché possano riuscirvi più spesso “bisogna sforzarsi di elevare il livello della loro coscienza in generale”. Da qui l’importanza dell’educazione e della formazione di quadri operai all’interno del partito.

 

Coscienza e partito

 

Lenin riconoscendo che “la classe operaia va spontaneamente al socialismo” sottolinea, però, che “l’ideologia borghese, che è la più diffusa (e che risuscita costantemente nelle più svariate forme), resta pur sempre l’ideologia che, spontaneamente, soprattutto si impone all’operaio”. Ciò è dovuto al fatto che l’ideologia borghese è più antica e sviluppata di quella socialista e inoltre “possiede una quantità incomparabilmente maggiore di mezzi di diffusione”.

Spontaneità e coscienza non sono separate in modo meccanico ma in connessione dialettica. In effetti Lenin sostiene che “vi è spontaneità e spontaneità”, che gli operai si impegnano in lotte in cui in fondo “l’elemento spontaneo non è che la forma embrionale della coscienza”. Questa, tuttavia, non può giungere alla sua forma sviluppata di coscienza socialista senza un partito dotato di teorie e teorici che analizzino gli sviluppi politici, economici e sociali nel loro contesto più ampio: “la coscienza politica di classe può essere portata all’operaio dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni (…) il solo campo dal quale è possibile attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi e di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi.”

La preoccupazione di Lenin può sintetizzarsi con una parola: generalizzare la lotta, i suoi terreni, i suoi soggetti, le sue finalità. Nel tentativo di sviluppare l’egemonia operaia nella lotta politica, “l’ideale del socialdemocratico non deve essere il segretario di una Trade Union, ma il tribuno popolare che sa reagire a ogni manifestazione di arbitrio e di oppressione, ovunque essa avvenga e qualunque strato essa colpisca, che sa generalizzare tutte queste manifestazioni in un solo quadro della violenza poliziesca e dello sfruttamento capitalistico, che sa servirsi di ogni minuzia per esporre davanti a tutti le proprie convinzioni socialiste e le proprie rivendicazioni democratiche, per spiegare a tutti il significato storico mondiale della lotta emancipatrice del proletariato”.

Il senso di questa contrapposizione la si può tradurre in quella tra particolare e generale. Gli “economisti” non vedono il tutto, non colgono l’unità concreta delle determinazioni sociali. Il feticismo del fatto economico li induce a perdere di vista l’organicità del sistema sociale e quindi la complessità del quadro dei conflitti di classe.

Non c’è azione politica rivoluzionaria né coscienza politica (cioè coscienza di classe) rivoluzionaria finché si rimane prigionieri di una concezione corporativa della propria identità e funzione. La “coscienza veramente politica” della classe operaia è frutto del riconoscimento delle dinamiche fondamentali dello sfruttamento capitalistico, che conduce di per se stesso a cogliere le ragioni comuni e le finalità generali della lotta rivoluzionaria.

 

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