Il solito covo di briganti
Il ruolo delle Nazioni Unite nello scenario internazionale
Fabiana Stefanoni
Per vari secoli, l'uomo medievale si è svegliato alla mattina con una salda convinzione, priva tuttavia di fondamento razionale: che i diritti illimitati di cui il signore feudale godeva derivassero, in ultima istanza, dall'autorità divina. Così, per vari secoli, i contadini, pur con la prospettiva di andare a lavorare gratis le terre del signorotto, hanno fatto colazione un po' confortati dall'idea che tutte quelle fatiche bistrattate servissero a realizzare in terra la volontà di Dio onnipotente. Oggi le cose non sono, nei meccanismi psicologici di fondo, molto cambiate. Alcune convinzioni sono diventate presunte verità indubitabili, senza che si riesca a citare un solo fatto in grado di giustificarle. Una di esse è che l'Onu − l'Organizzazione delle Nazioni Unite − abbia a cuore le sorti dell'umanità e la pace nel mondo. L'uomo del terzo millennio si sveglia alla mattina, accende la Tv, vede cruente scene di guerra ma, se i soldati hanno il casco blu, fa colazione con serenità, sicuro del fatto che quei signori là stanno ammazzando per la pace. Nonostante l'abolizione delle corvées, anche il nostro uomo, come quello medievale, ha bisogno di conforto − magari per farsi una ragione del fatto che il pacchetto di caffé (scadente) che gli serve per la colazione costa più di un'ora di lavoro in un call-center.
A cosa serve l'Onu
Vediamo quindi di far piazza pulita − anche a costo di accontentarci di colazioni più amare − dell'irrazionalità di certi luoghi comuni, cercando di capire cosa veramente sono le Nazioni Unite. Nata a San Francisco il 26 giugno 1945, con la partecipazione iniziale di 50 Stati, l'Onu conta oggi 192 aderenti. Indipendentemente dalle belle parole (ipocrite) dello Statuto, che nomina la "pace" ogni tre righe, l'organizzazione è sorta dalla necessità di creare un organismo sovra-nazionale capace di gestire, dopo la seconda guerra mondiale, i nuovi equilibri tra le potenze vincitrici: si trattava di superare, aggiornandola, quella che dal 1919 era stata la Società delle nazioni, definita da Lenin un "covo di briganti". I briganti, almeno nelle favole, raramente sono animati da buoni sentimenti ma, purtroppo, spesso c'è più realismo nelle fiabe che nei libri di storia, tant'è vero che è raro trovarne uno che non dia per scontato che la "duplice finalità" dell'Onu sia quella di "mantenere la pace e risolvere le controversie internazionali".
Basta considerare l'articolazione interna degli organismi per rendersi conto che le dichiarazioni d'intenti (pacifisti) contenute nello Statuto sono un grosso inganno. L'unico reale centro decisionale dell'Onu è il Consiglio di sicurezza, costituito da cinque membri permanenti con diritto di veto e da dieci membri non permanenti, eletti a rotazione. É evidente che sono i cinque membri permanenti la testa dell'Organizzazione: Stati Uniti, Regno Unito, Russia (fino al 1991, Unione Sovietica), Cina (fino al 1971, Taiwan), Francia. La scelta, avvenuta all'indomani del secondo conflitto mondiale, di questi cinque Stati non è casuale: si trattava di ridefinire e garantire reciprocamente le sfere d'influenza tra le potenze che avevano avuto un ruolo centrale (e vincente) nel corso della guerra. Il fatto che l'Unione Sovietica sedesse al tavolo dei banditi imperialisti per partecipare alla spartizione del bottino era la logica conseguenza della vittoria dello stalinismo e della rinuncia alla prospettiva della rivoluzione socialista internazionale.
Con l'esplodere della cosiddetta guerra fredda, la mediazione all'interno del Consiglio di sicurezza risultò meno agevole: gli Stati Uniti intendevano fare dell'Onu lo strumento dell'estensione del proprio dominio coloniale[1], ma l'Urss mirava, per interessi speculari, a frenare questi tentativi, pur con una certa attenzione a non turbare troppo le esigenze dell'imperialismo d'oltreoceano. In occasione dell'intervento militare dell'Onu a sostegno degli statunitensi − a proposito di pacificazione... − nella guerra di Corea (1950-51), l'Urss rinunciò al diritto di veto, limitandosi ad una non partecipazione al voto: è evidente che la principale preoccupazione della burocrazia stalinista era quella di garantire il proprio potere in patria, in un gioco tattico di equilibri con la borghesia internazionale.
Fin qui, non si capisce dove potesse stare la tanto proclamata "ricerca della pace", tanto più che, dopo aver accondisceso alle rivendicazioni dei sionisti con il riconoscimento dello Stato d'Israele a danno dei palestinesi, l'Onu intervenne militarmente nelle varie fasi del conflitto arabo-israeliano in Medio Oriente (1956-67; 1967-73; dopo il 1973), di fatto avallando la politica coloniale dei governi israeliani: la missione Unifil nel Libano del sud, che tutt'ora è operativa, si inseriva in questo contesto. Ma si tratta di esempi tra tanti: l'illusione di un'organizzazione a difesa della pace si sgretola in un batter d'occhio se si pensa al silenzio-assenso di fronte alle politiche degli Usa in America Latina − con l'appoggio della Cia a regimi dittatoriali − o all'ipocrisia di risoluzioni di condanna mai tradotte in atti concreti, come nei confronti del regime razzista in Sudafrica.
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica
Se d'intenti pacifisti non c'è traccia fino al crollo dell'Unione Sovietica, successivamente le cose cambiano, ma non nella sostanza. L'Onu "pacifista" nel 1991 ha dato il beneplacito al primo atto di forza degli imperialismi statunitense ed europeo, che, fiutando nuovi e grassi bottini dopo la dissoluzione degli Stati operai degenerati dell'Europa dell'Est, hanno colto la palla al balzo: la prima guerra del Golfo si è svolta sotto le bandiere dell'Onu, che ha poi approvato e gestito l'embargo ai danni della popolazione irachena con milioni di morti, soprattutto tra i bambini. Ma non solo: ha sostenuto l'invasione Usa di Haiti, ha gestito militarmente l'invasione della Somalia nel 1992 (con una coalizione militare capeggiata dagli Usa), ha avallato l'intervento della Francia in Ruanda, ha gestito un intervento militare iniquo nei conflitti nella ex Jugoslavia (riconoscendo tra l'altro la Croazia di Tudjman, colpevole di gravissimi crimini nei confronti delle minoranze). Nulla di nuovo, quindi: prima e dopo il crollo dell'Urss, l'Onu è servita da copertura delle politiche espansioniste dei Paesi capitalistici e dei loro alleati sovietici.
Tuttavia, qualcosa è cambiato con gli anni Novanta: lo scenario internazionale. Dopo la morte del nemico comune, si sono inaspriti i rapporti intercapitalistici, con il nuovo ruolo assunto nello scenario internazionale dalla Cina e, soprattutto, con l'accelerazione del processo costituente di un polo imperialista europeo al traino di Francia e Germania. Non è un caso che dalla metà degli anni Novanta si sia posto il problema della necessità di riformare il Consiglio di sicurezza: il consolidarsi delle borghesie nazionali di Stati ex-fascisti, a partire da Giappone e Germania, si è tradotto nella richiesta di un maggior peso negli equilibri diplomatici internazionali, ovverosia nella spartizione dei possibili bottini derivanti dagli interventi militari in giro per il mondo. Si spiega così, ad esempio, l'accordo tra Germania, Giappone, India e Brasile per ottenere un seggio permanente.
In questo mutato quadro, s'inserisce un'altalena che ricorda quella della guerra fredda, ma che ha come principali partecipanti al gioco da un lato gli Stati Uniti, dall'altro l'Unione Europea. I due briganti, che vengono sempre più definendosi come due poli imperialisti contrapposti, talvolta dondolano nella stessa direzione, perché conviene, talvolta in direzione opposta: è purtroppo prevedibile che, prima o poi, scenderanno dalle altalene e cominceranno ad azzuffarsi. Fuor di metafora, è segno dell'inasprirsi delle relazioni intercapitalistiche la decisione dell'imperialismo statunitense di aggirare l'Onu − nell'ambito della quale rivestono un peso determinante, col diritto di veto, i nuovi nemici (Francia e Russia in primis) − e di utilizzare la Nato (l'organizzazione militare del Patto atlantico a egemonia statunitense, nata in funzione antisovietica e poi allargata a nuovi Paesi dopo l'89) per i propri fini coloniali. É quello che è avvenuto nel '99, con la Serbia di Milosevic: l'Onu in quell'occasione ha taciuto e collaborato. Similmente, le Nazioni Unite hanno approvato l'invasione in Afghanistan, nell'ambito della quale i due briganti, approfittando dell'11 settembre, dondolavano nella stessa direzione (sedendosi poi allo stesso tavolo per la spartizione del bottino).
Un cambio di scenario si è avuto nel 2003, con la seconda aggressione all'Iraq da parte americana. In questo caso, l'Onu non ha sostenuto la seconda guerra del Golfo. Perché? Forse perché, a differenza della prima, non era a fine di pace? Non proprio, il motivo è un altro. Precisamente, il brigante statunitense ha utilizzato questa invasione per farsi beffe del brigante europeo: Francia, Germania e Russia non hanno partecipato alla coalizione che ha invaso l'Iraq, ovviamente perché erano gli Stati uniti, paladini dell'impresa, a trarne il maggiore vantaggio. L'Onu è rimasta in disparte per questo solo motivo, salvo poi riconoscere il governo fantoccio che ne è scaturito. Zelanti socialdemocratici ci spiegheranno che questo dimostra che l'Europa, con la sua millenaria cultura, può svolgere un ruolo pacifista: nulla di più falso. Non solo Francia e Usa, a braccetto e con la benedizione dell'Onu, l'anno dopo hanno invaso Haiti; non solo le potenze europee continuano a finanziare le missioni coloniali del passato; soprattutto, appena se n'è presentata l'occasione, hanno aperto nuovi scenari di guerra.
Il brigante europeo ha fiutato odor di gloria con la recente guerra in Libano, vista anzitutto come un'occasione per tentare di riguadagnare punti rispetto al brigante statunitense, approfittando dell'impasse di quest'ultimo in Iraq. Gli zelanti socialdemocratici ci diranno: "Se fosse vero che l'intervento in Libano è un'occasione di riscatto per l'imperialismo europeo, perché gli Usa non pongono veti?". Come i bambini sanno bene − perché forse leggono ancora realistiche favole e non, per loro fortuna, Repubblica, Corsera e Manifesto − solo il brigante più debole può permettersi ogni tanto di lamentarsi e fare scaramucce, perché è obbligato dai rapporti di forza a limitarsi a qualche lagna; se si arrabbia il brigante più grosso (quello americano) la zuffa, invece, è assicurata. Un no degli Usa alla missione in Libano, una diversa presa di posizione, avrebbe avuto il sapore amaro di una dichiarazione di guerra al nemico europeo, con tutto ciò che ne consegue.
Catastrofici pacifisti
Capitalismo significa guerra, distruzione, miseria: senza la rivoluzione socialista internazionale l'umanità verrà di nuovo trascinata nella catastrofe. Oltre che amare colazioni, è il caso di rischiare anche notti insonni e guardare in faccia la realtà: l'acuirsi delle contraddizioni intercapitalistiche non esclude la possibilità di un nuovo conflitto mondiale, che pure non è all'ordine del giorno. Ogni nuova guerra, ogni nuovo intervento militare dell'uno o dell'altro brigante, col casco verde o col casco blu, non può che trovare la più ferma opposizione di chi ha a cuore le sorti dell'umanità. Noi siamo comunisti, non pacifisti: crediamo che solo con la distruzione − che non potrà certo avvenire con mezzi pacifici − del sistema capitalistico l'umanità potrà essere liberata dalle catene dello sfruttamento, dalla guerra e dalla miseria. Ma desta ribrezzo vedere certi sedicenti pacifisti, come Rossana Rossanda, che, dalle colonne del Manifesto e a nome della redazione, benedice l'invasione in Libano e si complimenta con D'Alema; desta ribrezzo vedere che la marcia per la pace di Assisi, che pure non ci è mai piaciuta, diventa un'occasione di propaganda bellica. Se qualcuno si chiedeva che cosa avrebbe guadagnato la borghesia dalla presenza di Rifondazione in questo governo: et voilà. Sappiamo per certo che non ci saranno dirigenti di Rifondazione comunista a protestare in piazza contro la guerra, come fecero nel '99 contro la guerra del Kossovo; ma forse ci saranno molti iscritti di Rifondazione che stracceranno la tessera come abbiamo fatto noi. Progetto Comunista sarà lì, nella consapevolezza che c'è una sola strada per impedire ai briganti di continuare a esercitare violenze e depredare i villaggi: per noi è la strada della rivoluzione socialista.
[1] La cosiddetta decolonizzazione, spesso vantata come uno dei meriti dell'Onu, non solo ove è avvenuta ha dovuto fare i conti con la sostanziale passività delle Nazioni Unite, ma si è anche rivelata nei fatti la risposta alle esigenze di una nuova dislocazione dei domini coloniali, nell'ambito della quale l'Onu ha giocato un ruolo di negoziazione... tra briganti.