Partito di Alternativa Comunista

L'imperialismo in un nuovo pantano

L'imperialismo in un nuovo pantano

La situazione in Libano dopo l'aggressione israeliana

 

Alberto Madoglio

 

 

Il “cessate il fuoco” che per il momento ha bloccato l’aggressione nei confronti del Libano dell’avamposto dell’imperialismo in Medio Oriente − lo Stato di Israele − ci offre lo spunto per analizzare le ragioni che hanno portato a una vera e propria guerra di distruzione e per chiederci quali sviluppi ulteriori essa potrà causare. La propaganda borghese ha voluto far credere che il via alle ostilità di Tsahal contro il Libano sia stato causato dall’incursione in territorio israeliano da parte di un commando di Hezbollah (il movimento di resistenza politico-militare sviluppatosi all’epoca della prima invasione israeliana in Libano nel 1982), che ha causato la morte di otto militari di Israele e il rapimento di altri due.

 

Al di là della propaganda

 

Gli oltre trenta giorni di intensi bombardamenti su tutto il Libano, che hanno causato la quasi totale distruzione di tutte le infrastrutture civili e produttive − costringendo un milione di abitanti a evacuare le zone maggiormente colpite dalle bombe e altri cinquecentomila ad abbandonare il paese (su una popolazione totale di circa quattro milioni) − avevano in realtà altre motivazioni. Queste vanno individuate sia nella natura aggressiva dello Stato d'Israele, caratteristica presente fin dalla sua fondazione, sia nella attuale politica di “guerra al terrorismo” portata avanti con estrema virulenza dal governo Bush.

Fin dal 1948, quando è stato fondato, Israele si è configurato come uno Stato basato sulla pulizia etnica, sul terrorismo verso le masse arabe e su una politica di continua aggressione ed espansione a danno degli Stati vicini a maggioranza araba. Il luogo comune che vuole Israele "cittadella assediata" è totalmente falso. E’ vero semmai il contrario: è questo Paese che assedia centinaia di milioni di arabi in Medio Oriente. In quest'ottica, ogni volta che Israele individua un rischio per la sua politica criminale (negli anni Cinquanta e Settanta il nazionalismo arabo, oggi il fondamentalismo islamico), passa immediatamente all’azione, non sempre aspettando un pretesto, seppur minimo, come in questa occasione. Il movimento guidato dallo sceicco Nasrallah, che nel 2000 aveva costretto l’esercito di Tel Aviv alla ritirata dal sud del Libano occupato da quasi vent'anni, andava prima o poi neutralizzato.

A ciò si deve aggiungere il fallimento della politica Usa di lotta al terrorismo e creazione di un "nuovo Medio Oriente”. Gli scacchi subiti in Iraq e Afghanistan necessitavano di un diversivo e, nelle speranze di Bush, di un successo. Una breve e vittoriosa guerra in Libano sarebbe servita per ridare smalto ad una presidenza Usa sempre più messa in discussione all’estero come all’interno. Non solo. Sarebbe stato anche un segnale per l’Iran, protettore politico di Hezbollah e attualmente in cima alla lista dei cosiddetti Paesi canaglia.

 

La resistenza di Hezbollah

 

Questa è anche, pressapoco, la ricostruzione che fa Hersh (giornalista vincitore del Pulitzer nel 1970 per aver denunciato il massacro di civili vietnamiti da parte di marines a My Lai), quando sulle pagine di un giornale americano afferma che, secondo fonti del Pentagono, l’azione militare israeliana era stata pensata da tempo. Ma, dopo Kabul e Baghdad, anche a Beirut lo sviluppo degli eventi si è incaricato di sovvertire i piani dell’imperialismo a stelle e strisce e del suo gendarme sionista. Quella che doveva essere un’operazione che in pochi giorni avrebbe dovuto portare alla liberazione dei militari rapiti e alla distruzione di Hezbollah, in quanto organizzazione in grado di preoccupare Israele, ha subito degli intoppi. I pesanti bombardamenti aerei hanno immediatamente causato morte e distruzione sulla popolazione civile, ma la struttura militare di Hezbollah ha continuato ad esistere. Non solo: con enorme sorpresa di tutti gli strateghi militari, essa ha dimostrato una inaspettata capacità di resistenza, riuscendo per la prima volta a colpire con dei missili alcune città in territorio israeliano.

Le cose non sono cambiate nemmeno quando, dopo circa quindici giorni, il governo Olmert-Peretz, primo ministro e ministro della difesa d'Israele (il secondo ex sindacalista membro del Partito Laburista) decidevano di dar vita all’invasione di terra. Trentamila soldati e decine di carri armati non sono riusciti a far volgere il corso della guerra a favore dell’esercito invasore; anzi, la situazione è andata via via peggiorando: aumentava il numero di missili lanciati verso Israele e il numero di perdite tra i militari impegnati in scontri molto ravvicinati.

Allo stesso tempo cresceva la protesta in Israele contro la gestione delle operazioni militare, con uno scambio di accuse tra governo e stato maggiore.

Questa situazione non si è determinata solo grazie ad un'astuta applicazione delle tecniche della guerriglia da parte di Hezbollah, ma soprattutto grazie al sostegno popolare che questa forza si è guadagnata nei decenni passati, in primo luogo tra la popolazione di religione sciita, attraverso la creazione di una sorta di welfare state, che il governo centrale non è mai stato in grado di fornire.

 

Il cambio di rotta dell'imperialismo

 

Lo sviluppo degli eventi ha portato anche ad un cambio di orientamento nelle posizioni fin lì sostenute dall’imperialismo. Inizialmente, Bush e Blair hanno respinto ogni richiesta di cessate il fuoco, convinti della rapida vittoria israeliana ma, col passare del tempo, mentre in Libano, nei Paesi arabi e tra i lavoratori dei paesi occidentali cresceva la mobilitazione contro la guerra (i portuali inglesi avevano dato inizio ad un boicottaggio operaio contro ogni nave da e verso Israele) − favorita anche dagli insuccessi di quella che fino ad allora era considerata una macchina invincibile − il loro atteggiamento è mutato.

L’ipotesi di un cessate il fuoco con l’invio di una forza multinazionale da schierare in Libano ha cominciato ad essere non solo accettata, ma anche richiesta. Il senso di questo mutamento di opinione è stato quello di garantire all’esercito sionista una ritirata onorevole, sostituendolo nel ruolo di garante dei suoi confini settentrionali. La dimostrazione sta nel fatto che per la prima volta il governo israeliano non si è opposto alla presenza di truppe straniere in quello che è stato per oltre mezzo secolo il suo cortile di casa. A ciò si deve aggiungere la volontà delle maggiori potenze d’Europa, Francia e Italia in primo luogo, di sfruttare a loro vantaggio lo scacco che l’esercito israeliano stava subendo. Il "nuovo Medio Oriente" ipotizzato dalla diplomazia americana prevede un ruolo meno che marginale per gli imperialismi europei. Quale migliore occasione per questi ultimi di poter giocare un ruolo da protagonisti in un’area strategica a livello globale?

In particolar modo il governo di Prodi, sostenuto da Rifondazione Comunista, si è fatto notare. Ha avuto una funzione centrale nella pseudo-conferenza di pace sulla crisi libanese svoltasi a Roma, si è fatto promotore dell’invio di un contingente Onu e si è offerto di inviare subito un consistente contingente di truppe di occupazione sotto l’ombrello del Palazzo di vetro. Dobbiamo riconoscere che questo attivismo ha avuto risultati. Un generale italiano lavorerà all’Onu per fare da trait d’union tra i politici e i militari e, dall’anno prossimo, un gallonato tricolore subentrerà ad un generale dell’Armeé nel comando delle truppe dislocate nell’area.

 

Per un'altra direzione

 

In questo quadro, quali sono le prospettive per il futuro? Molto probabilmente il cessate il fuoco ha segnato non la fine della partita, ma solo l’inizio dell’intervallo. Difficilmente Israele rinuncerà a cercare l’occasione per una rivincita che costringa a più miti consigli chiunque si opponga alla sua politica criminale; né la sconfitta subita farà intraprendere una politica di pace. Mentre scrivo, truppe israeliane continuano ad occupare il Libano del sud e ad imporre un blocco totale di terra e aria al paese. La striscia di Gaza è una prigione a cielo aperto i cui detenuti vivono in regime di totale isolamento: nessuno può entrare né uscire, vengono distrutte le infrastrutture civili, oltre duecento sono le vittime dei raid israeliani, continuano i rapimenti di parlamentari e ministri dell’Anp. Olmert ha annunciato l’allargamento delle colonie in Cisgiordania e ha minacciato la Siria, rea, a suo dire, di una politica di minacce alla sicurezza del Paese: vaga formulazione che preannuncia il prossimo possibile bersaglio. Oltre Damasco, Teheran potrebbe essere la nuova vittima dei guerrafondai imperialisti. Il fatto che l’Iran abbia legittimamente rifiutato di interrompere il suo programma di sviluppo di tecnologia nucleare ha fatto aumentare l’isteria di tutte le cancellerie mondiali. Si sta ripetendo il copione che ha preparato la guerra all’Iraq: un nuovo presunto Hitler si affaccia all’orizzonte.

Le truppe inviate dalle nazioni unite si preoccuperanno non di portare la pace, ma di dare la caccia ai militanti di Hezbollah. Chi auspicava che l’Italia potesse essere imparziale tra i contendenti, ha dovuto aspettare poco per veder cadere le proprie illusioni. I marines del battaglione San Marco dovevano ancora partire che già D’Alema si univa a Olmert nel minacciare la Siria.

Tuttavia, l’avventura militare rischia di non essere una passeggiata per le forze occupanti. Nasrallah ha sì dichiarato che non intende opporsi all’arrivo di truppe di occupazione nel suo paese e questo, al di là dell’eroismo dimostrato dai suoi combattenti durante la guerra, prova chiaramente la tendenza alla capitolazione all’imperialismo di ogni forza integralista religiosa, così come nel passato è stato per il nazionalismo di ogni specie.

Ma, respingendo decisamente ogni ipotesi di disarmo, crea le condizioni per una ripresa del conflitto, a prescindere dalla volontà soggettiva dei suoi dirigenti; così come le masse arabe,galvanizzate dalla vittoria in Libano, potrebbero dar vita ad una sollevazione contro i loro dirigenti che durante trenta giorni di scontri non hanno fatto nulla per far valere in concreto la tanto decantata solidarietà araba.

Quale che sia lo sviluppo degli eventi, diventa sempre più urgente la creazione di una direzione comunista della lotta di resistenza all’imperialismo; che spieghi come per i paesi dipendenti una vera liberazione nazionale può avvenire solo per mezzo di una rivoluzione sociale; che, quindi, si armi politicamente del programma della rivoluzione permanente. Per il Medio Oriente vuol dire lottare per la distruzione di Israele e dei regimi arabi fantocci dell’imperialismo, per l’instaurazione in quell’area di una federazione socialista in cui siano garantiti i diritti di minoranza nazionale alla popolazione ebraica.

10/09/2006

 

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