L’Unione va alla guerra
Politica estera di centrosinistra e centrodestra a confronto
Davide Margiotta
Caorle, 10 settembre, chiusura della Festa della Margherita. Alla minaccia di Berlusconi di non rivotare la missione in Libano, il vice-Presidente del Consiglio Francesco Rutelli esclama: “Berlusconi ormai è diventato un Cobas, quelli che promuovono le manifestazioni contro le missioni italiane all’estero... Da uomo di governo è passato a minoranza rumorosa [...]”.
La domanda è: esiste una differenza tra la politica estera del centrodestra e quella del centrosinistra? Certamente, ma questa differenza non è nè sui metodi, nè sugli obiettivi. La differenza sta nella tattica. Il metodo, è quello antico della potenza militare. L’obiettivo, quello di tutti i paesi imperialisti: garantire l’espansione della propria borghesia.
Nella tattica risiede invece la vera differenza. Se il governo Berlusconi puntava principalmente sull’asse atlantico con Regno Unito e Usa, il centrosinistra ha il baricentro della sua azione nell’Europa, intesa come possibile competitrice mondiale al dominio statunitense. Peraltro sempre nel comune quadro della Nato.
La potenza militare
Esiste una piena continuità tra l’operato del primo governo
Prodi, quello di Berlusconi, e l’attuale Prodi-bis. Le spese militari del
nostro paese in questo arco di tempo sono costantemente cresciute, arrivando a 27,8 miliardi di dollari nel 2004, come
documenta il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute),
praticamente il costo di una finanziaria.
Secondo gli studi dell’Istituto di Stoccolma, l’Italia spende per la difesa
484 dollari pro-capite, ben più di altri paesi del G8 come Germania (411 dollari), Giappone (332 dollari) e Canada
(377 dollari). Nel novembre del 2005, alla vigilia delle ultime elezioni
politiche, i Ds promuovevano un convegno in cui intervenivano, oltre a Fassino
e Marco Minniti, l’allora ministro della Difesa Antonio Martino, il capo di
Stato maggiore della Difesa Gianpaolo Di Paola, il Segretario Generale delegato
Nato Alessandro Minuto Rizzo e l'amministratore delegato Fincantieri Giuseppe
Bono. Lo scopo del convegno era quello di tranquillizzare le forze armate
sull’impegno del futuro governo a destinare alle forze armate cifre idonee alla
loro funzione nel mondo.
Del resto, fu il governo D’Alema a varare la riforma delle forze armate, abolendo la leva obbligatoria e creando un esercito di professionisti, certamente lo strumento più adatto per le missioni all’estero che, come vedremo, sono in impressionante ascesa durante questi anni. Riforma a tal punto condivisa dal centrodestra che più volte in campagna elettorale Berlusconi stesso si è fregiato di questo “merito”, scippandolo letteralmente a D’Alema.
Attualmente l’Italia è impegnata in 29 missioni militari in diverse parti del mondo, con l’impegno di oltre 11 mila soldati. Alla domanda se questo sia un impegno sostenibile finanziariamente, il ministro della Difesa Arturo Parisi rispondeva su Repubblica del 9 settembre: “...se vogliamo rappresentare il nostro paese per quello che è non possiamo tirarci indietro e dobbiamo rispondere agli appelli per la pace nel mondo come fanno da sempre Francia, Gran Bretagna, Germania”.
L’obiettivo
Soprattutto a partire dal secolo scorso, il capitalismo ha fatto registrare una crescente tendenza all’esportazione di capitali e di merci: è questa una delle caratteristiche dell’imperialismo. L’obiettivo di tutti i paesi imperialisti è quello di assoggettare sempre nuovi mercati, di accaparrarsi sempre nuove fonti di materie prime e concessioni favorevoli, al fine di guadagnarsi ciascuno il proprio posto al sole, possibilmente più al sole di quello degli altri. Come detto, il nostro paese non è certo estraneo a questa logica. Per questa ragione tutti i governi succedutisi negli anni hanno fatto registrare la stessa politica estera di guerra.
Così come la campagna d’Etiopia e le altre imprese coloniali del secolo scorso, anche la partecipazione alle guerre degli ultimi quindici anni ha sempre avuto ragioni umanitarie. Possiamo riassumere queste ragioni del cuore molto schematicamente così (senza dimenticare che uno degli obiettivi delle guerre imperialiste è anche quello di indebolire le altre potenze): gli interessi dell’Eni in Iraq (oltre a quelli di numerose imprese di ricostruzione, costante di tutte le avventure belliche del resto), quelli della penetrazione nei mercati dell’est dopo l’apertura all’economia di mercato di numerosissime imprese italiane (a cominciare da Telecom) nella guerra in Kosovo, e così via, fino ad arrivare all’attuale Libano, di cui l’Italia è il principale partner commerciale, importando dal nostro paese una parte importante delle attrezzature e macchinari industriali (negli ultimi anni si è registrato un aumento delle ditte italiane in quasi tutti i settori, dall’energia al turismo e commercio).
Tutti i partiti borghesi hanno a cuore gli interessi della borghesia: significativamente, molte delle 29 missioni militari sono iniziate durante il primo centrosinistra, quasi tutte sono state votate da entrambi i poli, e anche quelle che non sono state votate all’unanimità, come quella in Iraq, sono poi però state rifinanziate all’unanimità. L’approdo di questa unità d’intenti è il varo della missione militare in Libano, volta a difendere Israele e gli interessi nazionali eliminando i possibili ostacoli, come l’esistenza della resistenza antisionista.
Il polo imperialista europeo
Con la fine della Guerra Fredda, l’Italia perdeva la propria posizione privilegiata di paese di confine col blocco nemico. Lo stravolgimento dello scacchiere mondiale aveva la conseguenza principale di lasciare ai paesi imperialisti le mani completamente libere. E’ questo lo scenario in cui comincia l’epoca della “guerra infinita”, che altro non è che una nuova fase dell’espansione imperialista, resa particolarmente aggressiva dalla perdurante crisi di sovrapproduzione di capitale mondiale.
Sospinto da paesi come la Francia e la Germania, prendeva sostanza il disegno di un blocco imperialista europeo antagonista a quello statunitense, disegno spalleggiato da buona parte della grande borghesia del vecchio continente. Come abbiamo detto in apertura, se esiste una condivisione di obiettivi e mezzi, esiste una divergenza nella tattica con cui arrivare all’obiettivo.
Snodo centrale di tutta la politica dei governi di centrosinistra è questo progetto di polo imperialista europeo. Il programma e perfino il personale politico dell’Unione ne sono testimoni.
Come non ricordare che Prodi e Padoa Schioppa sono stati a capo delle massime istituzioni politiche e finanziarie dell’Europa di Maastricht?
Anche la formale opposizione iniziale all’avventura irachena era in buona parte figlia di questo cordone ombelicale che lega Ds e Margherita a Francia e Germania, a loro volta contrarie all’intervento per ragioni ben poco nobili. Questo è il reale significato del tanto decantato europeismo del centrosinistra, questo il significato vero delle parole di Massimo D’Alema quando ha dichiarato trionfante all’indomani del varo della missione in Libano che finalmente è finito l’unilateralismo di Bush. Proprio la missione in Libano è stata per l’Europa l’occasione di un’avventura da protagonista, con gli Usa ancora impantanati in Iraq.
I continui richiami alla creazione di un esercito europeo da parte di Ds e Margherita e progetti come il Mercato Unico Euro-Mediterraneo del 2010 (che ha lo scopo di favorire la penetrazione di capitali europei in Medio Oriente e nord Africa), rappresentano l’aspetto più visibile di questo ambizioso progetto. Il filo-imperialismo del centrosinistra è ben documentato perfino dal programma elettorale dell’Unione (è bene ricordarlo, sottoscritto anche da Rifondazione), dove sta scritto nero su bianco come sia necessario favorire l’internazionalizzazione delle imprese italiane (tradotto: l’espansione verso i mercati dei paesi dipendenti), in particolare di quelle che mantengono il “cervello” in Italia.
La necessità di un’altra direzione per il movimento pacifista
In questi anni l’Italia (e non solo) è stata attraversata da un’ondata pacifista di enorme portata. Purtroppo il movimento è stato egemonizzato da soggetti che rifiutavano categoricamente la nozione stessa di imperialismo, rendendolo incapace di analizzare le vere cause dei conflitti e di proporre parole d’ordine e modalità di lotta adatte allo scopo.
Una buona parte dei pacifisti di questi anni riponeva grandi speranze nell’avvento al governo del centrosinistra. Sfortunatamente, mai i sogni furono tanto distanti dalla realtà: un governo Prodi amico dei pacifisti, ecco una vera utopia! Il bilancio dei primi mesi di governo è impietoso: rifinanziamento delle vecchie missioni con l’aggiunta di quella in Libano.
Una volta arrivata la “sinistra” al governo, queste direzioni (Tavola della Pace, Arci, Cgil, Cisl, ecc..) hanno bloccato le mobilitazioni, arrivando all’ultima Marcia di Assisi a sostenere la guerra come strumento di pace. Un’altra parte del movimento è stata imbrigliata dai partiti di governo, come il Prc, dove anche le minoranze interne si rifiutano di mettere persino in discussione il sostegno al governo di guerra.
Privato di ogni riferimento politico, il movimento è oggi ad un punto morto.
Per combattere davvero la guerra non sono purtroppo sufficienti le sole grandi manifestazioni, è necessario riconoscere le cause che la scatenano, riconoscere il diritto dei paesi alla resistenza, auspicare la sconfitta dell’imperialismo, a partire dal proprio, lottare contro il proprio governo.
Siamo convinti che la generosità espressa da tanti compagni e compagne in questi anni di lotta non debba essere sacrificata sull’altare delle compatibilità di governo con gli interessi dell’impresa, è necessaria la mobilitazione più ampia e unitaria possibile contro la guerra e contro le politiche antipopolari del governo Prodi. Facciamo appello a tutte della sinistra e del sindacalismo di classe per un percorso di assemblee, scioperi e manifestazioni che possano confluire in una grande manifestazione nazionale. Lasciamo gli inciuci ai riformisti e prepariamo una alternativa vera alla barbarie del capitalismo, da rivoluzionari.