Partito di Alternativa Comunista

DOPO LA FINANZIARIA: L'OPPOSIZIONE ALL'AGENDA 2007 DEL GOVERNO

DOPO LA FINANZIARIA: L’OPPOSIZIONE ALL’AGENDA 2007 DEL GOVERNO

di Antonino Marceca

La Finanziaria per il 2007 ha concluso nei tempi stabiliti il suo iter parlamentare, senza ombra di dubbio si è trattato di una enorme ripartizione di capitali a favore della classe dominante, un enorme flusso di denaro indirizzato alle imprese sotto le varie voci: cuneo fiscale, fondo per l’innovazione, per la produttività, per la competitività, credito di imposta, rifinanziamento dell’industria bellica, fondi pensione, ecc. La materializzazione di una politica indirizzata al rilancio, con il sostegno statale, del capitalismo italiano nei mercati internazionali.
Una manovra finanziaria e una politica estera sostenute nel paese e votate in parlamento non solo dagli azionisti del Partito democratico ma anche dai Partiti della sinistra di governo – Verdi, Pdci, Prc – comprese le loro aree critiche. Per i lavoratori e le masse popolari la manovra si tradurrà in un netto peggioramento delle condizioni di vita: per l’aumento della tassazione e delle spese, per le ricadute in termini di tagli alla scuola e alla sanità pubblica, per i tagli ai servizi essenziali e sociali.
Dopo il carteggio tra il premier Romano Prodi e il segretario dei Ds, Piero Fassino, tra un conclave dei ministri previsto a Caserta per il 12 gennaio e un vertice tra i segretari di partito, l’esecutivo delinea i contorni dell’azione di governo per i prossimi mesi: l’agenda 2007, come ama definirla Romano Prodi.

L’agenda di Prodi

Le nuove priorità dell’agenda economica del governo riguardano temi cruciali: le liberalizzazioni dei servizi pubblici e dell’energia, le privatizzazioni e la già preventivata riforma delle pensioni.
L’agenda prevede “un’accelerazione, un cambio di passo, una fase due”, coerente con il percorso di politica economica iniziato con il Dpef, la manovrina d’estate e la Finanziaria per il 2007.
In tema di privatizzazioni e liberalizzazioni sul tavolo ci sono non solo il disegno di legge che conferisce al governo un’ampia delega a rivedere liberalizzando l’intera normativa sull’elettricità e il gas, ma anche la proposta di legge Lanzilotta sui servizi pubblici essenziali. Una legge che, se approvata, conclude un processo di liberalizzazioni e privatizzazioni dei servizi essenziali iniziato con l’art. 35 della Legge Finanziaria per il 2002. Il punto finale per le residue possibilità di gestione pubblica di tutta una serie di servizi pubblici essenziali: dai rifiuti, ai trasporti pubblici locali, alle farmacie comunali, ecc. La proposta di legge Lanzilotta non interviene sulla gestione del servizio idrico ma l’esperienza pugliese, dove ogni ipotesi di ripublicizzazione del sistema idrico è stato stoppato dallo stesso presidente Vendola, parla da sé.
Accanto ai servizi pubblici essenziali e all’energia sono presi di mira anche grandi aziende strategiche quali Alitalia, Tirrenia e Fincantieri. Per i primi due a giustificazione della privatizzazione si invoca lo stato di crisi, ma a dimostrazione della natura ideologica e speculativa di tutta l’operazione è la proposta di privatizzare Fincantieri, un’azienda con bilanci positivi e non indebitata con le banche.
Infine, ma non per gravità, completa il quadro il decollo dei Fondi pensione con il Tfr dei lavoratori, attraverso il meccanismo truffaldino del silenzio-assenso, congiunto all’annichilimento del sistema pensionistico pubblico e all’innalzamento dell’età pensionabile.
La politica economica e sociale del governo si combina con la politica estera multilaterale che ha per protagonista il ministro D’Alema. Una politica imperialista che nel quadro europeo segue, congiuntamente alla Spagna, la Francia e la Germania. Nella periferia capitalistica, il dominio militare statunitense determina una politica a geometria variabile: lo sganciamento dall’Iraq segna una ritrovata autonomia, la permanenza in Afghanistan porta il segno della collaborazione con la Nato e gli Usa, la missione in Libano, conseguente all’impantanamento statunitense in Iraq e alla sconfitta Israeliana in Libano, segna infine il protagonismo nazionale.

L’affondo di Montezemolo

La Confindustria di Montezemolo ha maturato la convinzione che nel quadro politico dato dal governo di centrosinistra è possibile ottenere, dal governo e dai sindacati concertativi, quanto richiesto dalle imprese. Da qui un crescendo di richieste, non prima di aver chiarito che la legge Biagi non si tocca, tutte indirizzate a spremere ulteriormente il lavoro salariato: orari, salari, contratti. La proposta è quella di un nuovo Patto per la produttività.
Sugli orari, malgrado la presenza nel territorio di un sindacato troppo spesso accondiscendente alle richieste padronali, Confindustria chiede una gestione unilaterale, un potere totale sugli orari, senza più trattare con le Rsu aziendali. Su salari e contratti l’intendimento padronale mira a svuotare il contratto nazionale eliminando quello che ancora permane in termini di garanzie minime nelle diverse condizioni territoriali e aziendali. L’obiettivo è la diversificazione salariale a livello aziendale, territoriale e finanche individuale: l’atomizzazione della classe.
Ma lungo il percorso dalla fase uno alla fase due non erano stati previsti i fischi degli operai di Mirafiori indirizzati ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil e finanche al presidente della Camera Bertinotti, fischi motivati da un netto dissenso sulla manovra finanziaria e le pensioni. Quei fischi indicano un distacco dei lavoratori dalla burocrazia sindacale e dai partiti della sinistra di governo. Un imprevisto che burocrazia sindacale, governo e padronato cercano immediatamente di delimitare coscienti del fatto che se a fine 2006 il 42.1% dei contratti era ancora in attesa di rinnovo, nel maggio 2007 tale percentuale raggiungerà il 61.1%.
Da qui la precipitosa chiusura di due vertenze che per la loro rilevanza erano suscettibili di mettere in crisi la pace sociale: Ferrotranvieri e Call Center. Due contratti con poche luci e molte ombre. Nel caso dei Ferrotranviari a fronte di un aumento salariale medio di 102 euro si propone “di insediare da gennaio 2007 un tavolo di lavoro che nel termine di tre mesi definisca i cardini fondamentali per la regolamentazione di un compiuto processo di liberalizzazione del settore fondato sulla concorrenza per il mercato”.
Nel caso dei lavoratori dei Call Center se da un lato si parla di assumere a tempo indeterminato i precari del gruppo Cos dall’altro li si assume con orari a part time di 4 ore, con salari di 550 euro al mese e orari flessibili, una condizione invivibile. Un accordo giustamente respinto a maggioranza dai lavoratori di Atesia, che chiedono contratti a tempo pieno e turni fissi: una risposta di civiltà e di dignità alla proposta di Montezemolo.

Il nostro intervento nella prossima fase

La prospettiva del nostro intervento nella prossima fase rimane la costruzione di una vertenza unificante sostenuta dallo sciopero generale contro il governo e il padronato.
Proprio per avanzare in questa prospettiva di lotta è necessario individuare alcuni priorità di intervento nel quadro di un programma di rivendicazioni transitorie.
Non c’è dubbio che deve essere data priorità alla lotta per l’abrogazione delle leggi precarizzanti (dal Pacchetto Treu alla Legge Biagi, dalla Turco Napoletano alla Bossi Fini) che investono sia lavoratori italiani che immigrati, mentre fin da gennaio in coincidenza con la campagna truffaldina dei sindacati concertativi per il lancio dei Fondi pensione deve essere avviata una campagna per la difesa e la reintroduzione delle pensioni pubbliche a retribuzione, adeguatamente rivalutate, e del Tfr, salario differito dei lavoratori. Questa difesa deve essere associata alla costruzione nei luoghi di lavoro e nei quartieri popolari di “Comitati per la difesa delle pensioni pubbliche, del Tfr e contro la precarietà” proprio perché la precarietà è ormai e sempre più la condizione di esistenza dei lavoratori e delle masse popolari.
Altro punto centrale è la lotta contro le privatizzazioni e le liberalizzazioni dei servizi pubblici essenziali e di aziende strategiche come Alitalia, Tirrenia e Fincantieri. Nel corso stesso della lotta contro l’azione privatizzatrice dei governi, nazionale e locali, deve essere rilanciata nei sindacati, nei comitati degli utenti, tra i lavoratori la rivendicazione della nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto il controllo operaio.
Infine sul terreno della politica più strettamente sindacale non solo dobbiamo contrastare tutte le ipotesi di nuovo patto sociale – per il pubblico impiego, per la produttività – ma dobbiamo fare una battaglia nella Rete 28 aprile in Cgil e nel sindacalismo di base perché sia superato un atteggiamento di pura pressione sul governo.
Strettamente combinata alla lotta contro la politica sociale ed economica del governo deve continuare la nostra opposizione all’imperialismo, a partire da quello di casa nostra, nel quadro di un rilancio dell’internazionalismo proletario. Una lotta che coglie nella richiesta di chiusura delle basi Nato e nel ritiro dei militari italiani dall’Afghanistan, dal Libano e da tutti i paesi in cui sono presenti una sintesi rivendicativa immediata.




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