Partito di Alternativa Comunista

In vista dello sciopero per il clima del 9 ottobre

L'ultimo miglio

Come riprendere il filo
 
in vista dello sciopero per il clima del 9 ottobre
 
 
 

di Giacomo Biancofiore
 
 
 
C’è un grafico che gira sui vari network del movimento Fridays for future che è realmente impressionante: curve matematiche colorate mostrano i numeri degli eventi Fff nel mondo dal 2018.
Paesi, città, persone, studenti coinvolti come in nessun altro movimento di massa che questo nuovo millennio sia riuscito a partorire.
Si dà il caso che le cose non accadano mai per fatalità. Pertanto, è semplicemente irragionevole non riconoscere al movimento per il clima il merito di aver imposto l’attenzione su una situazione divenuta emergenza proprio per la voluta sottovalutazione che è stata fatta negli anni da chi governa il pianeta.

Verso lo sciopero per il clima
Il 9 ottobre è in programma un altro evento importante, lo sciopero per il clima, importante perché come dicono i giovani del Fff «scioperiamo perché non abbiamo scelta».
Ed è proprio questa importante affermazione, come vedremo, ad assumere un ruolo determinante nel nostro rapido viaggio tra le pagine che sono state scritte in questi anni da chi sta affrontando, nei modi più svariati, la tremenda crisi climatica e ambientale che può condurre il pianeta e i suoi abitanti verso conseguenze nefaste ed irreversibili.
Tanto abbiamo scritto sulla ingloriosa fine di quei movimenti ambientalisti che, a partire dagli anni Settanta, di giorno combattevano il sistema e di notte gli fornivano l’assist con la retorica dello «sviluppo sostenibile» che, anziché mettere in discussione un modello criminale, lo legittimava e ne favoriva l’evoluzione tant’è che la cosiddetta produzione sostenibile è diventata parte del sistema e viene tutt’ora utilizzata per aumentare i consumi con tanto di farlocche certificazioni di qualità e rispetto dell’ambiente.

I primi passi del movimento per il clima
I «giovani del venerdì» hanno avuto un doppio merito. Intanto di rimettere in discussione tutte le fandonie degli obiettivi stilati negli anni da Conferenze, commissioni, agende e tavole rotonde funzionali solo ed esclusivamente alla conservazione del modello di sviluppo capitalista e poi, di tenere alla larga i sepolcri imbiancati di decotti attivisti con le loro paternali, figlie della resa incondizionata a stanchezza e piccoli privilegi.
Certo, le pur legittime istanze del movimento per il clima instradato dalla giovane attivista svedese Greta Thunberg, non sono state accompagnate, almeno in un primo momento, da un’analisi corretta ed il consistente peso specifico affidato alle «responsabilità individuali» ha condizionato negativamente la prima fase e lo sviluppo delle coscienze di tanti giovani che si affacciavano per la prima volta ad una lotta tanto importante quanto impegnativa.
L’esperienza, nonché l’inevitabile delusione derivante dai continui fallimenti delle Conferenze sul clima organizzate dall’Onu (ultima e più clamorosa la Cop25 svoltasi a Madrid a fine 2019), hanno contribuito alla positiva evoluzione del movimento per il clima.
Un’evoluzione che, ad oggi, pur avendo compiuto passi importanti, manca ancora di quel passaggio decisivo che crediamo possa essere «l’ultimo miglio»; per percorrerlo è necessario rimuovere un diaframma che ha frenato numerose lotte ambientali.
Ma andiamo con ordine.

Covid-19
Lo scorso aprile avrebbe dovuto costituire un banco di prova importante per il movimento dei «venerdì per il futuro»; il quinto sciopero climatico si annunciava come il più imponente di tutti e probabilmente, per quanto abbiamo spiegato pocanzi, lo sarebbe stato, ma la devastante pandemia di Covid-19 ha sconvolto ogni ragionevole previsione.
Se da un lato le conseguenze della pandemia sono state nefaste per tutti i movimenti che si sviluppano, inevitabilmente, nelle strade e nelle piazze, dall’altro, l’emergenza sanitaria ha accorciato ulteriormente le distanze tra le lotte per il clima e le rivendicazioni operaie, sbattendo in faccia quella realtà troppo spesso sottaciuta ma dalla quale, secondo Marx ed Engels non si può derogare: «la storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi».

Studenti e operai uniti nella lotta
Circa un anno fa, proprio dalle pagine di questo giornale, Diego Bossi, operaio Pirelli e militante del Partito di alternativa comunista, apriva ufficialmente la prima finestra di dialogo tra la classe operaia e il movimento di Fff per mezzo del testo dal titolo «La risposta di un operaio alla lettera di Fridays For Future» (lettera con cui il movimento per il clima invitava le lavoratrici, i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali ad unirsi allo sciopero per il clima – ndr).
L’appello dei giovani del Fff e di Diego Bossi non cadde nel vuoto e il seguente sciopero per il clima vide una larga presenza di lavoratrici e lavoratori al fianco degli studenti.
Ma torniamo all’affermazione «importante» con cui i giovani del Fff hanno lanciato lo sciopero: «scioperiamo perché non abbiamo scelta».
Perché, come abbiamo detto prima, questa frase assume un ruolo determinante?
Perché è esattamente la chiave che apre all’unità della lotta dei giovani per il clima con la lotta degli operai a tutela della salute e della stessa vita di fronte alle tre più importanti emergenze, climatica, sanitaria e sociale, la cui soluzione è incompatibile con il capitalismo.

«Scioperiamo perché non abbiamo scelta»
A marzo scorso, mentre il movimento per il clima cominciava a prendere confidenza con la connessione diretta tra capitalismo e pandemia di Covid-19, nelle fabbriche italiane gli operai, di fronte alla legge del profitto che nel pieno dell’emergenza sanitaria imponeva di non fermare la produzione, hanno di fatto imposto con scioperi spontanei la chiusura di alcuni stabilimenti.
La classe operaia, considerata carne da macello da Confindustria e governo, dinanzi al ricatto lavoro-salute ha deciso di scioperare perché non aveva scelta!
Quello che sembrava impossibile è diventato inevitabile e i protagonisti della lotta di classe hanno risposto spontaneamente con le stesse armi.
Per affrontare «l’ultimo miglio» questo è il primo passaggio fondamentale: le lotte contro la crisi climatica ed ambientale non possono prescindere dalle lotte di tutta la classe operaia e, mutatis mutandis, l’emergenza climatica e ambientale deve essere parte integrante della lotta della classe operaia.

Sostenibilità e incompatibilità
Il secondo step è altrettanto essenziale ed è sempre più evidente: il movimento per il clima deve liberarsi definitivamente dei «giardinieri» e delle loro pacifiche «rivoluzioni green», deve abbandonare il vicolo cieco della continua ricerca di dialogo e concertazione con governi e istituzioni borghesi che altro non sono che «camerieri» con il compito di apparecchiare la tavola dei padroni.
La produzione sostenibile all’interno del modello di sviluppo capitalista è una contraddizione in termini, il capitalismo vive e si sviluppa sulla produzione irrazionale di merci ed il conseguente bisogno di consumi riconosce un unico orologio, rappresentato dal mercato che ne definisce i ritmi: se per nutrirsi fagocita tutto quello che trova, non disdegna di aggiungere al buffet i goffi tentativi di modificare le abitudini con proposte green che rappresentano per i padroni solo ulteriori occasioni di profitto.

Distruggere il capitalismo per costruire la società del futuro
Finché non vi sarà la consapevolezza che i tentativi di modificare i comportamenti individuali per migliorare il sistema capitalista sono prospettive fallimentari, le lotte per il clima saranno sempre insufficienti e destinate a non avanzare.
Per superare le crisi climatiche, ambientali, sanitarie e sociali è necessario distruggere il capitalismo, estirpandone le radici e costruire un altro modello di produzione e consumo, una società basata su un rapporto razionale con la natura, in cui la vita degli abitanti del pianeta sia compatibile con l’utilizzo e la conservazione delle risorse naturali.
Se il capitale non conosce altra via che sfruttare forza lavoro e risorse naturali, incurante delle spaventose conseguenze ambientali e sociali, il socialismo ne è l’esatto opposto e la società del futuro a cui ambiamo non ne può prescindere perché è l’unico modello di sviluppo che può porre le basi per un rapporto sostenibile con le risorse del pianeta.

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