Riprendiamoci le pensioni e il tfr!
Costruiamo i Comitati difesa pensioni pubbliche e Tfr, e contro la precarietà
Antonino Marceca
Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ottenuto il voto di fiducia in Senato sulla manovra finanziaria 2007, in dichiarazioni alla grande stampa borghese fissava i prossimi obiettivi del governo: interventi strutturali, tra cui le pensioni, per far tornare competitiva l’economia italiana e “ritornare in gara tra i primi della classe in Europa”.
Nelle stesse ore, all’inizio della seconda metà di dicembre, in un gioco delle parti rilasciavano interviste a La Repubblica, il ministro del Lavoro (Ds), Cesare Damiano, e a l’Unità, il ministro della Solidarietà Sociale (Prc), Paolo Ferrero, proprio sulle pensioni. Il ministro Damiano dopo essersi dichiarato d’accordo con il segretario di Rifondazione, Franco Giordano, sulla necessità di una posizione comune del governo e dei sindacati sulle pensioni, ricordava come “le linee direttive sono state già indicate nel Programma e poi nel Memorandum sulle pensioni”. La richiesta del ministro Damiano alla sinistra di governo e ai sindacati concertativi, considerata la “delicatezza della questione” che potrebbe suscitare forte proteste tra i lavoratori, come si è visto alla Fiat Mirafiori, è quella di essere coerenti con il compito loro affidato: tenere al guinzaglio i lavoratori e le masse popolari.
Il ministro Paolo Ferrero, dopo essersi richiamato anche lui al Programma dell’Unione, annunciava per il 18 gennaio una proposta di Rifondazione sulle pensioni; nel contempo, si diceva d’accordo con il principio dell’aumento dell’età pensionabile, aggiungendo che su questo tema il governo dovrà comunque avere una proposta comune. Dopo aver assistito alle ripetute ed inutili dichiarazioni del ministro di Rifondazione a proposito della manovra finanziaria, appare improponibile attenderci una rottura di Rifondazione con i liberali sul terreno delle pensioni, tanto più che i gruppi dirigenti delle minoranze critiche interne al partito di Bertinotti e Giordano hanno capitolato al governo dei padroni.
La distruzione del sistema pensionistico pubblico è stato, in questi anni, il chiodo fisso di tutti i governi sia di centrodestra che di centrosinistra. Un attacco iniziato all’inizio degli anni ’90 con il governo Amato.
Attacco alle pensioni
Nel 1992 il governo Amato iniziò l’attacco alle pensioni innalzando la pensione di vecchiaia a 65 anni per gli uomini e a 60 anni per le donne e stabilendo un minimo contributivo di venti anni per andare in pensione. Ma era solo l’inizio. Il primo governo Berlusconi, nel 1994, tentò la prima spallata introducendo, per la prima volta, l’idea nefasta dei disincentivi per chi andava in pensione prima dei 60 anni di età. La lotta dei lavoratori costrinse il governo a retrocedere dall’intenzione di introdurre il tema delle pensioni nella Finanziaria 1995. Ma fu con il successivo governo Dini, centrosinistra, che i poteri forti del paese, sostenuti dai sindacati concertativi, demolirono l’impianto pensionistico pubblico introducendo il sistema contributivo: all’inizio, proprio per dividere i lavoratori, solo per i più giovani.
Iniziò quindi lo smantellamento del sistema previdenziale pubblico retributivo, un sistema che garantiva un tasso di sostituzione (rapporto tra ultima retribuzione e pensione) dignitoso, intorno al 70-80%; inoltre costituiva un’importante collante solidaristico generazionale tra i lavoratori. L’introduzione del sistema contributivo, legato ai contributi versati, non solo spezza qualsiasi meccanismo di solidarietà intergenerazionale, ma determina una drastica riduzione, nel tempo, del tasso di sostituzione, fino a scendere sotto il 50%. Una riduzione per i lavoratori precari ancora più devastante, proprio per l’assenza di qualsiasi garanzia di continuità occupazionale. Ma di fatto tutti i pensionati vedranno precarizzata la propria esistenza. Con la riforma Dini, inoltre, l’anzianità lavorativa sarà sempre più legata all’età del lavoratore: 35 anni di contributi e 57 anni di età, solo con 40 anni di contributi non c’è limite di età.
Il primo governo Prodi, nel 1997, introdusse altri ostacoli alla pensione di anzianità: si va in pensione non quando si matura il diritto, ma in apposite finestre d’uscita. Le nefandezze introdotte dai governi di centrosinistra ricevono il plauso di Agnelli, ma non dei lavoratori e delle masse popolari.
Il secondo governo Berlusconi, naturalmente, non cambiò direzione di marcia. Al contrario: introducendo nel 2004 il cosiddetto “scalone”, sancì che, a partire dal 2008, non si potrà andare in pensione prima dei 60 anni di età se non si avranno 40 anni di contributi. In questo quadro, attorno all’utilizzo del Tfr si gioca uno scontro tra cordate finanziarie e burocrazia sindacale, tra Fondi aperti e Fondi chiusi.
L’affondo sulle pensioni e sul Tfr
In un gioco dell’alternanza borghese, con la vittoria seppur risicata dell’Unione, si costituisce nella primavera del 2006 il secondo governo Prodi e questa volta anche Rifondazione ha i suoi ministri e sottosegretari.
La Finanziaria 2007 che doveva essere equa e solidale diviene di lacrime e sangue per i lavoratori e le masse popolari. Tra i vari tagli previsti alla pubblica amministrazione, alla Scuola, alla Sanità, ai Servizi sociali, non manca il capitolo pensioni e Tfr.
La manovra finanziaria anticipa, in tema di Tfr, quanto previsto dal governo Berlusconi per il 2008, con alcune novità dettate soprattutto dal tentativo di non inimicarsi la piccola e media borghesia. Dal primo gennaio 2007 scatterà il silenzio-assenso: i lavoratori che entro il 30 giugno 2007 non avranno fatto dichiarazione scritta vedranno dirottato il Tfr maturando nei Fondi pensione. Nel caso di aziende private con oltre 50 dipendenti il Tfr “inoptato”, cioè non destinato ai Fondi pensione, sarà destinato in un fondo dell’Inps gestito dal Ministero del tesoro, per finanziare grandi opere infrastrutturali. Tutta l’operazione è avvenuta con il sostegno dei sindacati concertativi. Anzi, Cgil, Cisl e Uil, con il Patto per il lavoro pubblico, hanno proposto che anche nel settore pubblico si avvii il lancio dei Fondi pensione utilizzando il Tfs (Trattamento di fine servizio) dei lavoratori.
Sempre in Finanziaria 2007 sono stati aumentati dello 0,30% i contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti, mentre Cgil, Cisl e Uil hanno firmato con governo e padronato il famigerato Memorandum d’intesa che dovrebbe portare ad un ulteriore aumento dell’età pensionabile e alla revisione dei coefficienti di rendimento pensionistico (un ulteriore taglio del 6-8%), giustificato con l’aumento dell’età media della popolazione.
Non c’è dubbio che tutta l’operazione di smantellamento delle pensioni pubbliche è stata finalizzata al lancio dei Fondi pensione, un affare di 19-21 miliardi di euro annui.
I Fondi pensione
I Fondi pensione sono di due tipi: Fondi aperti gestiti da finanziarie, banche e assicurazioni e Fondi chiusi, negoziali di categoria o aziendali, gestiti dalla burocrazia sindacale e Associazioni padronali. I Fondi chiusi, di categoria e aziendali, sono stati costituiti a seguito di accordi sindacali fin dal 1997: sia nel settore privato, come il Cometa dei metalmeccanici; sia nel pubblico, come Espero nella scuola. Ce ne sono circa 42, tra aziendali e di categoria; ma proprio per la loro natura non hanno trovato vasti consensi tra i lavoratori, e questo spiega tutti gli interventi legislativi sostenuti dagli interessi convergenti di banche, finanziarie e burocrazie sindacali che siederanno assieme nei Consigli di gestione dei Fondi.
In questi giorni le burocrazie sindacali stanno propagandando i Fondi chiusi, dicendo che sono più sicuri e democratici di quelli aperti. In più utilizzano il ricatto verso i lavoratori prospettando una pensione pubblica da fame e pertanto da integrare.
Vediamo con ordine: i Fondi pensione sono degli investimenti finanziari e, come tutti gli investimenti finanziari, sono soggetti a possibili perdite come dimostrano i casi recenti di Enron e, in Italia, della Comit.
Ed ecco il burocrate sindacale di turno raccontarci che gli investimenti non saranno fatti in azioni ma bensì in obbligazioni: ma queste vengono emesse da aziende indebitate che hanno difficoltà a reperire crediti dalle banche, come dimostrano i casi Cirio e Parmalat. Una volta che il lavoratore ha destinato, consenziente o meno, il proprio Tfr ai Fondi pensione non potrà facilmente uscirne proprio per la scarsa flessibilità in uscita dai Fondi. In caso di licenziamento ci vorranno anni per recuperare il Tfr versato. Il rendimento dei Fondi – a differenza del Tfr versato in azienda o presso l’Inps, che è stabilito per legge – è incerto, soggetto a perdite legate all’andamento di mercato, crisi e crolli finanziari.
Per i lavoratori precari è una doppia fregatura: la pensione pubblica a contribuzione si riduce drasticamente, la pensione integrativa è una pura astrazione. Infine nelle aziende con meno di 50 dipendenti, siccome il padrone non vuole perdere il Tfr del lavoratore, ha un maggiore interesse a licenziare proprio il lavoratore che aderisce ai Fondi pensione.
La nostra opposizione, le nostre proposte
Il combinato di Finanziaria 2007, sistema pensionistico a contribuzione, perdita del Tfr e lancio dei Fondi pensione, Patto per il lavoro pubblico e Patto per la produttività, revisione dei modelli contrattuali, attacco al salario e gestione padronale degli orari, si fondono in un’aggressione concentrata ai lavoratori e alle masse popolari: solo una vertenza unificante sostenuta dallo sciopero generale può resistere a quest’offensiva.
Le sinistre sindacali – non solo i maggiori sindacati di base, ma anche la sinistra Cgil, Rete 28 aprile – non sono disponibili ad elaborare unitariamente una piattaforma sindacale di fase che si ponga l’obiettivo di contrastare risolutivamente questo governo padronale. Quello che emerge è il tentativo, a nostro avviso perdente, di confidare in un’azione di pressione sul governo: la richiesta di un referendum tra i lavoratori rientra tra queste manovre.
Per parte nostra, riteniamo che la lotta per la salvaguardia del Tfr, salario differito dei lavoratori, debba essere congiunta alla lotta più generale per una previdenza pubblica a retribuzione, adeguatamente rivalutata, e contro la precarietà del lavoro salariato. Solo delle pensioni adeguate al costo della vita, congiunte all’abolizione delle leggi precarizzanti, possono bloccare la truffa dei Fondi pensione: proprio per questo è necessario preparare una campagna di informazione e di lotta costituendo nei luoghi di lavoro e nei quartieri popolari Comitati per la difesa della pensione pubblica, del Tfr e contro la precarietà.